Ad alta specializzazione

Questa è la terza intervista. E’ stata registrata a Foggia la mattina del 16 febbraio 2013. E’ trascorso qualche mese dalle prime due interviste. In quei mesi mi sono dedicata alla ricerca d’Archivio e mettersi in contatto con le lavoratrici non è sempre stato facile. Devi spiegare il progetto (che ai più può sembrare una cosa folle o insensata), devi guadagnarti la fiducia di queste persone alle quali chiedi di raccontarti un pezzo della loro vita. Tutte le donne che ho intervistato hanno sempre preferito che io andassi a casa loro ad intervistarle. 

Sono stata assunta a 17 anni, il 5 novembre 1963.
Sono andata in pensione nel 1999, ad agosto con 40 anni di servizio: 37 effettivi e 3 di amianto.
Io sono stata alle filigrane, dove si creava la filigrana per avvalorare le carte valori (francobolli, passaporti, cambiali, gioco del Lotto). Sono sempre stata lì. Era un lavoro piuttosto specializzato, importante, che dava soddisfazione.
Non è stato il mio primo impiego perché ho cominciato a lavorare molto giovane, a Milano. Facevo le resistenze dei ferri da stiro. A Foggia quello all’Ipzs è stato il primo impiego e anche l’ultimo.
La cartiera è stata molto importante. Io svolgevo un lavoro importante alla filigrana. Sulla carta di circolazione delle auto si intravede un volante e quello l’ho fatto proprio io. Uno degli ultimi lavori che ho fatto è quello delle ricette sanitarie. Se mette in trasparenza la ricetta, vede tanti serpenti e di lato c’è scritto Ipzs.

Quando sono stata assunta io eravamo più di 1200/1300, poi il numero è andato scemando. Quando sono andata in pensione eravamo sulle 700 unità. Poi si è quasi annientata. E’ un peccato, mi dispiace. Ci ha dato benessere. Ho lavorato, lo dico con fierezza perché ho fatto il mio dovere, però mi ha dato tanto.

In questo reparto eravamo viste e considerate un pochino rispetto alle altre…Noi eravamo guardate con occhio superiore alle altre. Mi ricordo che, quando a Roma c’è stato il centenario d’Italia, io sono andata per rappresentare il Poligrafico di Foggia. Quando venivano a vedere lì come si faceva per la filigrana, rimanevano estasiati, mi facevano tanti complimenti.

Quando fui assunta al Poligrafico ero con altri in un reparto generico, dove si sceglieva la carta. Dopo 4 anni, sapendo che c’era questa officina dove si creavano le filigrane, ma non avevo idea di cosa fossero, sono andata a vedere un giorno e sono rimasta strabiliata. Ma cos’è tutta questa storia? Ho fatto la domanda e poi ho fatto un corso per poter accedere a quel reparto e fui presa. Mi spostai e di lì non mi sono spostata più. Comunque mi ha portato benessere, ero contenta di quel lavoro che svolgevo, lo facevo con amore anche e poi era bello perché c’era un qualche cosa che si è creato e tu mettevi in circolo. Il primo incisore, filigranista è stato un certo signor Fiordespini, che veniva da Fabriano. Con questo ha avuto inizio la filigrana a Foggia. Io l’ho avuto come superiore. Poi dopo questo signore abbiamo avuto un tecnico di Foggia che faceva il filigranista. Era un perito industriale.

Eravamo soprattutto donne in quel reparto, c’erano due uomini soltanto perché loro per creare questa filigrana dovevano grafitare…perché c’erano dei caucciù che venivano spennellati e grafitati con la grafite. Poi la grafite volava nell’aria. Questo lavoro qua di grafitatura era un po’ fastidioso. Uno se la ingoiava pure, nonostante le maschere, le attenzioni. Ma noi (donne, nda) non avevamo nulla a che fare con la grafitatura. Poi dopo la grafitatura veniva il trattamento galvanico…delle particelle che si staccavano da queste grandi piastre di rame…si depositavano sul caucciù che era già impresso con l’immagine o con la scrittura che volevamo e quindi andava a crearsi la filigrana. Questa poi veniva lavorata, limata, smussata per essere poi applicata su dei rulli filigranatori…a seconda della distanza che decideva il perito e poi veniva messo su questo scheletro di ferro e andava in lavorazione nelle continue. Mentre girava, la pasta della carta passava su dei teli di lana, ossia i feltri, colava acqua, nel frattempo passavano due rulli, uno sotto e uno sopra, che la spingevano ancora…

C’era molta gente che aveva fatto la guerra, era provata dalla guerra, dalla fame perché all’inizio al Poligrafico non si riscuoteva molto, si faceva la fame…Noi abbiamo avuto il boom economico dagli anni ‘70 in poi, fino agli anni ‘80, poi ha cominciato ad andare un po’ giù, un po’ giù ed eccoci qua.
Negli anni ‘80 c’era già questa preoccupazione e poi negli anni ‘90 ci accorgevamo che la situazione non era più fiorente come una volta.
A me non ha fatto tutta questa grande impressione trovarmi a lavorare con uomini che avevano fatto la guerra…nel senso che io a Milano già lavoravo con uomini e non ho avuto questo impatto. Era un ambiente duro. Se si comportavano così non era nemmeno colpa loro. Era colpa della vita dura che hanno attraversato.

Il Poligrafico non era uno stabilimento che si occupava esclusivamente di carta, si occupava anche di fare la carta, ma con la cellulosa. C’era la falegnameria perché la cellulosa era fatta anche dal pioppo, per fare mobili, c’era l’idraulico se c’era bisogno di aggiustare tubi, c’era la fonderia, la meccanica…C’erano tanti di quei reparti che il Poligrafico era come un piccolo paese. Non aveva bisogno di lavoratori esterni. Era tutto all’interno. Oltre questo, negli anni ‘70 a Foggia arrivò la lavorazione delle targhe che esiste anche oggi.

Il mio era un reparto privilegiato. Eravamo tutti quanti specializzati. Ed era un prestigio e la remunerazione era anche leggermente diversa rispetto agli altri.

Da noi c’era l’amianto, ma non capivamo che cos’era. Ci sembrava cartone. Ma non capivamo. Dopo, col senno di poi, abbiamo capito. Io ero già a casa quando mi hanno mandato la lettera in cui mi dicevano che mi avevano riconosciuto l’amianto. Io me ne andai prima.

Mara Cinquepalmi

Mara Cinquepalmi

Giornalista professionista freelance, mi occupo di datajournalism e questioni di genere.
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